Spaventapasseri/e

Spaventapasseri/e

Prima di iniziare a scrivere, respiro profondamente. Perché quando devo parlare di certe cagate desidererei fortemente non aver mai parlato del mio blog alla prof del liceo e vorrei tanto che i miei parenti non fossero così tanto innamorati delle belle parole che scrivo su di loro e anche un po’ delle cagate un po’ meno cagate e un po’ più profonde che di tanto in tanto pubblico qui sul blog.
Ma tant’è. E’ uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

Due settimane senza scrivere per me sono un’enormità, specialmente se penso che non solo non ho aggiornato il blog, ma non ho nemmeno bagnato di sofferto inchiostro pagine e pagine di robusti quadernetti sdruciti e ripieni di altri foglietti ripiegati e biglietti di cinema e mezzi di trasporto che fanno tanto tredicenne innamorata. E il motivo di questo apparente blocco è piuttosto piacevole, in realtà: sono state settimane piene, anzi pienissime. Ma, tutto sommato, serene. Emozioni molto belle e molto brutte in giusta proporzione, ma alla fine quelle belle hanno avuto la meglio. Ho avuto da fare e l’ho fatto felicemente.

Ma il blog, l’ho sempre detto e sempre lo ripeterò, non riesco ad abbandonarlo per troppo tempo. E allora di tanto in tanto lo apro, lo guardo, gli dico un paio di parole d’amore e poi lo richiudo. Perché l’unico pensiero negativo su cui avrei potuto dissertare – magari per esorcizzarlo – qui sul blog è la paura del futuro che ultimamente è diventata un pensiero costante, specialmente se e quando mi confronto con amici che vedo sempre più in gamba di me, più organizzati e dalle menti più lucide e fresche. La mia solita, commovente autostima.
E invece oggi ho deciso che no, non ho ancora trovato abbastanza spunti per prendermi in giro sulla mia paura del futuro, e posso invece rendere edotti i miei pazienti e innumerevoli lettori su di un argomento molto più ameno.

E’ ormai un mesetto abbondante che ho l’iPhone, santissimo iPhone. E anch’io, come tutti gli affezionati della mela elettronica, sono diventata un’impossessata iPhone-dipendente che all’improvviso sembra aver bisogno di un’app progettata a puntino perfino per espletare le sue quotidiane funzioni fisiologiche.
Poteva dunque mancare l’online dating? Certo che no, poffarbacco.

E così – papà ti scongiuro prendi con le pinze il contenuto di questo post – anch’io mi sono lasciata trascinare nel magico mondo di Tinder, il dorato luogo in cui per giudicare se qualcuno è fattibile o meno ti basta dare un’occhiata alle sue foto e scorrere il pollice verso destra per esprimere assenso e verso sinistra per esprimere dissenso (o disappunto, o disgusto che dir si voglia).
Ho impostato le mie preferenze su una fascia d’età non troppo ampia (all’incirca una decina d’anni) e, trovandomi a una quarantina di km da Milano, meglio nota come la fabbrica della nordica gnoccanza, ho optato per una distanza massima di 45 km. Così, per prudenza.

Ho scelto sei foto, ho (ovviamente) scritto un paio di – molto vaghe – informazioni sulla biografia e mi sono lanciata alla scoperta dei giovini Tinderiani approvando senza pudore alcuno soltanto quelli forniti di corpi degni di essere disegnati in un atlante di anatomia, oltre che di lineamenti da pubblicità di profumi francesi.
“Tanto figurati se ‘sti strafighi vanno a cagare proprio me”.
E invece. Troppi match, a mio avviso, ma non me ne lamento. Certo, nelle mie ricerche ho evidentemente prediletto il lato estetico intuendo nove volte su dieci di non avere a che fare con dei discendenti di Albert Einstein, ma per un po’ di sano e corroborante flirting online poco male.
E poi, nel caso in cui la situazione diventasse insostenibile, c’è pur sempre la possibilità di sfanculare il malcapitato semplicemente annullando la compatibilità. Semplice, no?

Inutile dirlo: la mia esperienza Tinderiana, da ragazza strana (cit.) quale sono, è ovviamente diversa da quella della maggior parte degli altri utenti. Innanzitutto perché mi ci sono iscritta per semplice curiosità, senza alcuna intenzione di ottenere un possibile appuntamento nella vita reale, ma piuttosto per capire quanti figoni potrebbero perdere le bave per me come io le perdo per loro.
E in questo, devo dire, Tinder aiuta. Perché tanto la tua preferenza resta segreta finché la controparte non ha a sua volta espresso un giudizio positivo nei tuoi confronti, e questo implica un sensibile calo di inibizioni e timidezze varie: via libera al giudizio sincero senza poi troppo cruccio se qualcuno dei tuoi eletti non ti ricambia, e di contro un aumento considerevole dell’autostima per ogni match particolarmente attraente.

Il secondo aspetto positivo di Tinder, poi, è il suo essere una sorta di finestra sul mondo degli appuntamenti e dei corteggiatori più o meno reali e/o concreti.
Essendo – giustamente – una specie di gioco basato sulla prima impressione, è perlomeno affascinante fare caso ai dettagli che gli utenti mettono in evidenza per fare colpo immediato sulle gentili donzelle fruitrici del servizio. E poi – perché no? – stilare una lista delle categorie più particolari e riportarla sul proprio blog ad uso e consumo delle proprie lettrici (o anche dei propri lettori) interessate all’argomento. E magari chiamare questa lista “Gli spaventapassere” (che dopo quella degli “Incacabili” che avevo stilato l’estate scorsa non mi sembra neanche un nome troppo cattivo, a dirla tutta).
Dopo il mio solito infinito preambolo passo dunque ad elencare quelle che, secondo il mio personalissimo giudizio, sono le categorie di utenti Tinderiani da evitare come la peste.

GLI SPAVENTAPASSERE

  • LO SLIPPINO: preferibilmente bianco, giusto per non lasciare spazio alcuno all’immaginazione. Sei foto monotematiche di questo abbronzatissimo e oliatissimo adone in costume praticamente adamitico, coperto solo da un impietoso triangolino di stoffa bianca che mette in risalto la pochezza o l’eccessiva abbondanza del disturbo. Due volte su tre le foto sono state scattate ad Ibiza o a Gallipoli, nella spiaggia più tamarra tra quelle a disposizione, e il candidato indossa occhiali da sole più grandi della sua stessa testa, è più depilato delle donne che vuole conquistare ed è circondato da belle fighe più tamarre di lui e molto probabilmente conosciute lì per lì e immediatamente immortalate per dare l’impressione di essere uno sciupafemmine.
    Tralasciando il – fondamentale – dettaglio che un look simile svilirebbe perfino un incrocio tra Nick Bateman e Claudio Marchisio, due volte su tre è il primo indizio di un QI paragonabile a quello di una salamandra. Aiuto.
  • IL NABABBO: nella foto numero 1 è a bordo della sua Porsche, nella numero 2 si intuisce perfettamente la marca del suo orologio, nella numero 3 (fighissima, un profilo mozzafiato, una mascella squadrata ricoperta dalla giusta quantità di barbetta castano chiaro) si legge a caratteri cubitali la firma dei suoi occhiali da sole. Coincidenze? Questo non credo. Non che non abbia stile, e magari anche intelligenza, ma mi sembra inutile specificare su cosa stia facendo leva per ottenere la vostra attenzione. A voi la scelta, mie care signore.
  • IL MEGALOMANE: almeno in 5 foto su 6 è impegnato a praticare sport estremi, dal bungee al rafting (entrambi sport che ho praticato perfino io, quindi tanto estremi non sono) al surf o allo snowboard.
    “Uno sportivo! E che c’è di male?”
    Nulla, se la descrizione che accompagna le foto non recita all’incirca “Vivo la mia vita al MAXIMO approfittando di tutte le occasioni che ha da offrirmi!!!!!! Carpe diem! Io sono nessuno perché nessuno è perfetto!!!” E via bellamente coglionando.
    Amico, sei bravo negli sport, non stai rivoluzionando il mondo. Calmati, tte prego.
  • IL MANIACO: foto tranquille, all’apparenza un ragazzo normale, magari delle sei fatidiche immagini una è stata scattata in biblioteca (non è stata fatta per caso, non ce la beviamo, ma uno gnocco che legge non ci dispiace per niente, anzi!). E infatti l’hai aggiunto alle tue preferenze, ci mancherebbe altro.
    IT’S A MATCH! Giuoia et giubilo.
    Questo fino al momento in cui non parte la chat.
    “Piacere, Sofonisbo.”
    “Piacere mio, Clitemnestra!”
    “Ho letto dalla tua descrizione che ami gli animali… io abito in una villa in campagna, se vieni a trovarmi ti metto subito a pecora… ahahah”.
    Ahahah. Compatibilità annullata in un quarto di secondo. Non sei sexy, sei più stupido di Flavia Vento e inquietante quanto la suddetta.
  • L’IMPEGNATO: lì per lì mica te lo chiedi perché almeno in due foto su sei sia accompagnato da questa bella e dolce fanciulla che lo abbraccia teneramente.
    “Sarà sua sorella, o la migliore amica che da anni lo sta friendzonando senza motivo alcuno”.
    Poi viene fuori che no, decisamente non è sua sorella. E non lo sta neanche friendzonando. Molto più semplicemente, lui ha photoshoppato la foto in modo da non far comparire le corna di lei.
    Condoglianze alla fanciulla e un sentito “Ma vai a cagare” al gentiluomo in questione.
  • BELLEZZA INTERIORE: ora, tutti abbiamo il diritto di essere brutti, per carità. Però, ecco, alcuni accorgimenti potrebbero anche salvarci in calcio d’angolo quand’anche non fossimo tanti replicanti di Brad Pitt e Angelina Jolie.
    E mi chiedo quindi perché – Dio santo – perché pubblicare foto che abbiano in primo piano proprio i difetti fisici più evidenti? Un minimo di consapevolezza di se stessi, miseria ladra! Se l’enorme cicatrice da appendicite è il vostro unico tallone d’Achille, mi chiedo chi vi costringa a mettere in mostra proprio quello, al posto di puntare, magari, su di un bel sorriso o su di un viso scolpito da Michelangelo.
  • L’UOMO DI MONDO: bello eh, bello davvero. Non sembra troppo superficiale, la sua descrizione è piuttosto tranquilla ed è stato lui il primo a scrivervi. Voi allora gli rispondete. E lui vi risponde il giorno dopo. E’ impegnato, impegnatissimo. Lavora e quando non è al lavoro frequenta locali fighissimi che “Ciccia, ti ci porto io a bere un mojito che ne valga la pena, tu cosa ne vuoi capire?”. No, infatti, non ne voglio capire proprio niente. Arrivederci e grazie.

Mi è bastato un mesetto scarso di questa diavoleria e già mi sono stufata. Non cancello l’applicazione perché “non si sa mai”, perché di tanto in tanto è pure divertente e perché quando mi sveglio in periodo premestruale e mi sputerei in un occhio fa sempre comodo sapere che qualche miope figone mi ritiene perlomeno potabile.
Per il resto, Dio me ne scampi e liberi. Preferisco perdere le staffe con i pirla che abitano il mondo reale.

Mamma Primavera

Mamma Primavera

Ho fatto un respiro troppo profondo, mentre correvo, e nel naso mi è entrata un po’ troppa primavera. Ho avuto un’immagine vivida di me, a sette anni, sulla mia altalena scolorita, che ti guardavo annaffiare le piante del giardino, correre di qua e di là, chiacchierare con la nonna, i lunghi capelli sempre in qualche modo in ordine, raccolti da un fermaglio rigorosamente abbinato al tuo modo di vestire. Anche e soprattutto quando sei in casa.
Il sorriso che non si spegne mai, sempre una parola gentile per tutti, poi qualche momento d’ombra, una sgridata, degli occhi severi che poi non ce l’hanno mai fatta a reggere il nostro sguardo per tanto tempo restando severi.

Ho pensato, qui, a mille chilometri di distanza, che forse la primavera ha ovunque lo stesso odore, e che questo è molto bello perché tu per me sei sempre stata la primavera, e così adesso che siamo lontane per la maggior parte del tempo la primavera è un poco te.

Mi piace che ci siano queste belle giornate, che stia arrivando questa stagione, perché anche per me, come per te, il sole è un carburante naturale. Mi dà energia e positività in qualsiasi momento, proprio come hai sempre fatto tu.
E tanti, ma tanti dei miei ricordi primaverili sono legati a te: i viaggi in macchina al ritorno da scuola, con i finestrini abbassati e il vento tra i capelli, e la musica e le risate. Le commissioni che sbrigavamo prima di Pasqua, comprando uova di cioccolato per tutti sempre all’ultimo momento, e tu hai sempre azzeccato i gusti di tutti, anche dei più schizzinosi. Le uova dipinte, o decorate col decoupage, Benedetta e la Mira che le mangiavano tutte crude e tu che ti preoccupavi che potessero sentirsi male. Le prime cene in giardino, i pranzi di Pasqua con le tavolate enormi e sempre perfettamente decorate secondo il tuo gusto impeccabile.
E lo scivolo rosso, che nei giorni più caldi era bollente, e l’altalena che adoravo e che allora mi sembrava così grande, e che mi ricorda il sole che tramonta sul giardino, il caldo che finalmente diventa sopportabile e tu che fai giardinaggio sempre con qualche tartaruga o qualche gatto o qualche porcospino tra i piedi.

E allora oggi respiravo la primavera e ridevo da sola, sorridevo ai passanti, ero felice apparentemente senza motivo e quando un ragazzo carino ha iniziato a guardarmi con interesse mentre correvo tutta sudata ho pensato con orgoglio che forse è vero quello che tutti dicono: che ho preso tutto da te, che ho le tue movenze e che magari come te riesco anche ad essere sempre affascinante in qualsiasi situazione. Ho aspettato di svoltare la curva e sparire allo sguardo di quel ragazzo per sternutire senza alcun ritegno, come un cavernicolo, come tu mi dici sempre di non fare, e ho sentito delle risate fragorose: ero sì sparita allo sguardo di un ragazzo, ma mi ero esibita in quel bel teatrino di fronte ad altri quattro. E quindi ho capito che no, ancora non ci siamo, e che per raggiungerti dovrò correre ancora un bel po’.