Se dovesse capitarti di andare a passeggiare sul Ticino, in questo periodo dell’anno, quando le giornate risplendono di luce e l’aria statica e pesante di Pavia si rallegra di venticelli, non di rado incontreresti cani felici, finalmente a spasso con i padroni ma a briglia sciolta, che si rotolano sull’erba ancora verde con un sorriso estatico dipinto sul muso.
E ogni cinque metri troveresti piccole combriccole di ragazzi che mangiano, che bevono una bibita, che si sdraiano al sole con troppi pensieri o, per un attimo, con la testa felicemente vuota.
Ragazzi che studiano, ragazzi che suonano bonghi e chitarre, coppiette innamorate di amori liceali.
Le ragazze con le loro canotte colorate e le braccia nude, i vecchietti seduti al sole con un buon libro, le coppiette arzille in pensione che camminano insieme con la loro bestiola al guinzaglio.
E sul fiume vedresti le canoe scivolare veloci sull’acqua così liscia da sembrare solida, i paperotti che inseguono ansiosamente la mamma sbattendo veloci le zampette palmate e le nutrie, teneramente impacciate, che nuotano col culetto all’insù e il muso a fior d’acqua.
E poi, se avessi la pazienza di andar sempre lì tra le due e le quattro del pomeriggio, troveresti un uomo che pazientemente, ogni giorno, va a dar da mangiare ai paperotti. Distribuisce loro chili, forse quintali di pane raffermo.
Lo spezzetta e cerca di lanciarlo nelle direzioni più disparate, in modo che tutti ne abbiano un po’, e con la voce suggerisce ai suoi amici pennuti di spostarsi più o meno a destra o a sinistra.
A volte si arrabbia e a volte sorride, perso in chissà quali pensieri.
E mi ha raccontato che lì, nei suoi stessi orari, passa sempre una ragazza con le scarpe da ginnastica ai piedi e le cuffiette nelle orecchie. Che gli sembrava come tante altre, ma poi si è accorto che è un po’ più bassina della media.
È particolare, questa ragazza, perché si vede che quando corre pensa tantissimo e non si capisce come faccia a non fumarle la testa tra i mille pensieri e il sole alto del primo pomeriggio.
Ogni tanto pensa a qualche ragazzo del passato o del presente o del futuro, a qualcuno che le ha fatto qualche complimento inaspettato, a qualche periodo particolare della sua vita, e lo capisci inequivocabilmente dai suoi gesti: si passa una mano tra i capelli per aggrapparsi a qualcosa che la sollevi dal suo imbarazzo, e poi resta delusa nel trovarli legati stretti in un’alta coda di cavallo. Sorride anche, in quei momenti, non riesce a trattenersi, e tira insù un angolo della bocca mentre gli occhi le si illuminano felici.
Lei è convinta di arrossire, ma non diventa rossa per davvero.
Ogni tanto pensa ai suoi amici, ai suoi affetti, alla famiglia lontana, alle persone che c’erano un anno prima e ora non sente più, a chi prima sentiva poco e adesso sente ogni giorno, alle amicizie a cui vorrebbe dare più attenzioni, a quelle nate da poco e a quelle presenti da sempre. Lo capisci perché in quei momenti ha un’espressione preoccupata, a volte le spunta una lacrima e a volte sembra arrabbiarsi con se stessa. Mi ha detto che per calmarsi ripete una frase in latino, “omnia in bonum”.
Sorride a tutti i cani che vede passare, e al ritorno sostituisce la corsa con la camminata veloce.
Cammina così vicino al fiume da rischiare di caderci dentro, e a volte è tentata di farlo per davvero.
Sostiene di essere cresciuta in una città poco distante dal mare, e che ogni tanto dal fiume arrivi una zaffata di brezza quasi marina. Inspira forte, e in un attimo per lei diventa estate ed è al mare, ha cinque anni, e si sta tuffando dalle spalle dei suoi cugini. Oppure è in macchina con tutta la famiglia, c’è anche la nonna e lo zio e la zia e una cuginetta che viene da un posto lontano, e sono tutti stretti stretti e il sole del sud colpisce i finestrini e sono tutti sudati e appiccicaticci, ma cercano parcheggio per andare in spiaggia, e sono tutti in una macchina sola perché in questo periodo dove cavolo vuoi trovarlo il posto per più di una macchina?
Inspira anche l’odore della benzina delle barchette, perché quello la riporta a Gallipoli, a Porto Gaio, o a volte al Porto di Porto Cesareo, non lo sa bene, perché la differenza tra i porti è molto sottile, sostiene lei, e tutti i porti hanno un odore simile, e la benzina che bruciano le barche profuma, non puzza come quella dei mezzi di terra.
Le piace la primavera, mi ha detto anche questo nell’unica volta in cui l’ho fermata per chiacchierare, è la sua stagione preferita. Ogni anno la aspetta, e quando torna la primavera tornano anche i suoi cinque anni.
Le piace la primavera che le fa sognare l’estate ma le risparmia l’afa, che è una mezza stagione come l’autunno ma le giornate le allunga, mica le accorcia, e le infonde tantissima energia.
Le piace la primavera perché spesso pranza o cena con un gelato, e va a correre e dimagrisce senza sforzi. E le piace dimagrire, anche questo mi ha detto, “perché vedi non sono tanto le gambe, che lì non ingrasso mai, ma questa dannata pancetta…”.
Le ho chiesto se fosse possibile che la sola vista del Ticino le provocasse così tanti pensieri; mi ha guardato scandalizzata e mi ha detto che è ovvio, come faccio a non capirlo? Il Ticino per lei è un amico, un carburante naturale.
Se non andasse a trovarlo ogni giorno, mi ha detto con aria seria, la sua primavera sarebbe una primavera a metà.
Se dovessi passare dal Ticino, in questo periodo, potresti anche scambiare due chiacchiere con lei.
Perché di certe cose preferisce parlarne con gli sconosciuti, mi ha detto, che possono capire di più.