Cyber bulli e cyber scemi

Cyber bulli e cyber scemi

Piccolo avvertimento: se siete razzisti, o dei piccoli bulli, o se siete fascisti o che so io, potreste sentirvi chiamati in causa. Dunque se siete anche permalosi vi consiglio di cambiare pagina. Altrimenti leggete, contradditemi pure, ma non scassate troppo la minchia.

Orbene (parlo in modo raffinato oggi), la questione è semplice: girando per Facebook ho trovato l’ennesimo aggiornamento di stato che si scagliava contro le “balene arenate” che osano indossare il costume da bagno, andare al mare e farsi delle normalissime foto con le loro coetanee, foto che poi, ovviamente, vengono postate sui social network.

E mi sono trattenuta dal commentare per due semplici motivi: il primo è che col tizio che aveva scritto lo status ho già avuto una discussione, e sinceramente, benché non si direbbe, sono una persona pacifica e odio i dibattiti troppo accesi. Il secondo motivo è il mio attuale status di “balena arenata”, che nonostante stia dimagrendo non ha ancora un bel ventre piatto e delle gambe da ballerina: insomma, non volevo passare per la cicciona media che, con un cucchiaio di Nutella in mano, si difende dicendo che una donna senza curve non è una donna.

Io non penso assolutamente che grasso sia bello, e sarei stupida ad affermare una cosa simile, dal momento che sono la prima ad essere da sempre in lotta col mio peso. Però non penso neppure che grasso sia brutto. Mi spiego meglio: non credo che ci sia un canone assoluto di bellezza o bruttezza, e mi saltano i nervi quando incontro gente che sostiene l’equazione grasso=brutto. Ma anche occhi marroni=occhi banali, tette piccole=donna mascolina, altezza=mezza bellezza e tutte le varie generalizzazioni del ca…so.

Sostanzialmente io ho la ferma convinzione che ognuno possa fare del proprio fisico quel cacchio che gli pare, e se vuole dimagrire o ingrassare lo deve fare per se stesso, non per quattro idioti che lo sfottono su un social network.

Non ho capito perché una persona con un rotolino di ciccia non possa permettersi di fare il bagno a mare e poi mostrare agli altri le sue foto come fanno le amiche filiformi. A questi “censori del pubblico pudore” che fastidio dà che una ragazza robusta che pubblica le sue foto in costume? Proprio nessuno, ve lo dico io. Se non ne hanno voglia possono fare a meno di guardare e non succede nulla di male.

Il problema qui è un altro, è che siamo marci dentro e non ci sentiamo realizzati se non sottolineiamo la pagliuzza nell’occhio altrui per nascondere la trave nel nostro.

Perché molto spesso questi paladini della salute, che per giustificarsi dicono anche che essere grassi fa male, magari fumano come turchi annerendosi i polmoni, ma poi criticano chi mangia il dolcetto perché quello gli alzerà il colesterolo. O magari criticano una ragazza paffuta ma con un viso angelico e degli splendidi occhi azzurri solo perché ha un rotolino di troppo, giusto per non far notare al resto della società che loro, questi dei senza un filo di ciccia, hanno il naso storto e gli occhi color feci.

Sono cose che veramente mi fanno girare gli attributi a velocità atomica, perché molto spesso i commenti impietosi di questi bulletti fanno nascere nelle ragazzine dei complessi tali che le portano a diventare anoressiche, sociopatiche, insicure, bulimiche e chi più ne ha più ne metta.

E il mio discorso è incentrato sulla ciccia non perché ne faccia un’apologia o perché mi sento tirata in causa, ma semplicemente perché se n’è presentata l’occasione. Potrei continuare scagliandomi con quelli che trovano giusto emarginare la gente che “non si veste bene”, gli zingari, i gay, le ragazze che non sono ritenute “fighe” eccetera eccetera.

Per carità, capisco che se il tuo ideale di bellezza è una stangona che pesa 45 chili tu non possa trovare bella una nanetta taglia 46, e mi sta bene. Ma emarginarla o discriminarla per questo motivo proprio no, quello è da incivili, idioti e razzisti.

Io discriminerei una sola categoria: gli ignoranti.

Non gli analfabeti del primo dopoguerra ovviamente, ma tutti quei liceali figli di papà che hanno pure le chiappe firmate e pagano per strappare un sessanta alla maturità, e tra un massaggio nel centro benessere e un pomeriggio di shopping in via Montenapoleone si permettono di criticare gli altri dal loro ultimo modello di iPhone, infarcendo i loro commenti di errori ortografici che non commetterebbe mio cugino di tre anni.

Ecco, loro che giudicano senza sapere, che si atteggiano a fascisti e razzisti senza neppure conoscere la storia, che vanno contro gli ebrei per partito preso, che dicono che gli zingari puzzano… sono LORO quelli che andrebbero insultati, perché quando si vive in un’epoca in cui la cultura di base è alla portata dei più poveri e/o dei più cretini e nonostante tutto si sceglie di rimanere degli ignoranti col cervello da bonobo, si è né più né meno dei criminali.

SigaSTORTA

SigaSTORTA

Tra le tante stranezze che la vita mi ha elargito fin dal giorno della mia nascita ho anche questa: un rapporto ambivalente con le sigarette che credo sia iniziato quando ancora non sapevo neanche di preciso cosa fossero.

Avendo una mamma che ha sempre fumato, per quanto poco, per quanto raramente, per quanto fumasse solo “la sigaretta del dopo cena”, con l’odore di sigaretta ci ho convissuto fin da pargola. E mi piaceva annusarlo, tant’è vero che mi posizionavo davanti alla nuvoletta bianca che la mamma buttava fuori e inspiravo beata (“Elisa, togliti che il fumo ti fa male! E mi togli l’aria!”).

E poi quando ero piccina anche il nonno fumava, per non parlare dello zio: SmogLand. Ovviamente tutto ciò mi aveva portata a trarre la geniale conclusione che quando diventi grande iniziare a fumare è una tappa obbligata. Impazzivo per le borsette, ma non avevo nulla da metterci dentro quando mamma e papà ci portavano in giro, e così pensavo sempre “Quando crescerò non avrò più questo problema! Avrò un portafogli pieno di soldi, un cellulare e il pacchetto delle sigarette!”. Genio fin da piccola.

Poi sono arrivate le scuole medie, e con loro gli “incontri per sensibilizzare i giovani”, in cui mi hanno spiegato cosa significasse la parola “nicotina”e come e quanto la sigaretta faccia male. Ci hanno perfino disgustati a puntino con quelle sublimi immagini di polmoni incatramati e denti color palude. E a questo punto, ollè! Accanita attivista anti-fumo.
“Mamma, non fumare! Mamma ti fa male!”. (“Elisa, grazie, mi so regolare da sola”). Per un concorso in cui, per l’appunto, noi gggiovani dovevamo produrre uno slogan contro il fumo arrivai a disegnare un’enorme sigaretta antropomorfa fornita di una pistola, e sotto ci scrissi a caratteri cubitali “IL FUMO UCCIDE”.

Poi la malattia del nonno, e proprio ai polmoni. Il nonno si salva e smette di fumare. Bravo nonno! Poi la malattia della mamma, e lì le cose si fanno serie: io orfana a 12 anni non voglio esserlo, Dio se mi salvi la mamma ti prometto che non proverò mai a fumare!
Solo che l’odore del fumo e dello smog per me avevano più effetto di una boccetta di profumo Abercrombie per una quindicenne in piena tempesta ormonale: inebriante. I miei compagni provano a fumare e io faccio la bacchettona (non solo ero secchia, ero pure brava ragazza fino al midollo). Giustamente (o forse no), le prese in giro si sprecano. (“Ma che cavolo ne capite voi, io non voglio provare a fumare perché amo mia mamma!”).

Poi arriva l’adolescenza: io odio il fumo, giuro lo odio, ma la sigaretta quanto fa figo! E no, per me non faceva figo perché gli altri fumavano, non perché fosse un segno distintivo dei più grandi, non perché a farti le foto con la sigaretta sembravi trasgressiva.
No no, la donna con la sigaretta tra le dita affusolate, nella mia testa, emanava un sex appeal che io non avrei mai potuto avere. Il ragazzo che fumava non ne parliamo, se poi aveva il giubbotto di pelle scattava immediato l’innamoramento e l’ormone in subbuglio.

Nonostante tutto io, per coerenza, sono contro il fumo. Conosco quella che sarebbe diventata la mia migliore amica e le rovino l’esistenza facendo terrorismo psicologico ogni volta che fuma un solo tiro. Mi innamoro per la prima volta, e lo sfortunato che mi sta accanto (a proposito, ciao Gio) fuma una sigaretta ogni morte di Papa, ma io gli sfracello i maroni fino all’inverosimile ogni volta che tira una boccata.
Al secondo innamoramento trovo la mia pace: il giubbotto di pelle è presente, ma il mio secondo amore è contrario alle sigarette, proprio come me. O almeno, lo è fino a che non passa un periodo di nervosismo. A quel punto indosso nuovamente i panni dell’attivista anti-fumo e gli rendo l’esistenza un inferno: e me l’avevi promesso, e non fumare, e ti fa male, e TE LO PROIBISCO. Giustamente al “te lo proibisco” scatta immediato il “vaffanculo”. Piango, mi dispero, “che minchia ho fatto, io voglio solo il suo bene, ma perché non riesco mai a stare zitta”. Un’ernia ai testicoli.
E da lì, non so per quale ragionamento contorto del mio cervello, a 17 anni suonati provo il mio primo tiro di sigaretta “per vedere cosa provava lui”. Idiozia adolescenziale. Ma almeno poi facemmo pace e la nostra storia non finì per la mia lingua lunga.

Poi l’estate in Nuova Zelanda. O meglio l’esverno, perché quando sono partita in Italia era estate e là era inverno. E quando con la mia amica prendiamo la macchinetta azzurra e andiamo a scuola, lei abbassa il finestrino e fuma una sigaretta. Ed io inizio a fare ogni volta uno, due o anche tre tiri: la giustificazione che do a me stessa è che, se devo sorbirmi il freddo che entra da fuori, almeno devo trarne vantaggio anch’io. Una sigaretta intera però non la fumo mai, e in questo modo mi auto-convinco che il voto fatto per la mamma lo sto rispettando. Campionessa olimpionica di auto-giustificazione.

E poi l’ultimo anno di scuola in Italia: si avvicinano gli esami, meeenghia lo stress. “Dai ragazzi, giacché voi fumate a ricreazione un tiro lo faccio anch’io”. Il tizio con cui ho una storiellina in quel periodo rulla sigarette come non ci fosse un domani. E io gli faccio compagnia, ma non sempre. Poi in gita mi comunicano che il tempo di scroccare è finito: voglio fumare? Bene, il distributore è là, sono maggiorenne e posso comprare tutti i pacchetti che voglio. Fumo perché mi rilassa, perché tanto il vizio non ce l’ho (ed è vero, a tutt’oggi non ho assolutamente il vizio).
Torno in buoni rapporti col mio “secondo amore” e quando fumiamo insieme una sigaretta nella sua macchina lo faccio ridere perché ancora non so aspirare. (Così imparo a rompere le balle altrui.)

Durante il periodo della maturità fumo come una dannata, specie quando ci riuniamo con gli altri compagni e Giacomo porta le sigarette al mentolo. E la nonna, a casa della quale abitavo in quei giorni, fa finta di non accorgersene. Ad agosto mi cade il pacchetto di sigarette dalla borsa e finisce ai piedi di mio padre: i miei non mi hanno mai proibito di fumare, ma si aspettavano che quando e se avessi cominciato gliel’avrei detto. E’ comprensibile quindi lo sguardo scettico di papà che mi chiede “E questo cos’è?” con un tono che significa “E perché non me l’hai detto?”. Ed io indosso una faccia di culo invidiabile, quella delle grandi occasioni, e rispondo “E’ un pacchetto di sigarette, a te che sembra?”.

Solo che, pur avendo sempre il pacchetto in borsa (il mio sogno si è realizzato!), in realtà non prendo mai il vizio: un giorno chiacchiero con un tizio che mi piace e fumiamo insieme una sigaretta, il giorno dopo scordo anche di avere il pacchetto a disposizione. Compro sempre pacchetti da 20, perché mi piace la loro forma, ma durano fino a un mese.

Quando entro in collegio mi sembra quasi un paradosso essere considerata una “fumatrice”. “Dai, giuro, dopo questo esame smetto del tutto”. Poi riprendo perché una sera sono nervosa. Poi provo a stare a dieta e condurre uno stile di vita sano e di nuovo per altri 3/4 mesi non fumo.

Riprendo nuovamente, ma questa volta fumo ancora meno. Quando vado ad abitare in appartamento, la mia coinquilina (ciao anche a te, Mimi) mi concede la stanza con la vetrata enorme, quella fornita di balcone, “così se ho voglia di fumare non devo sporgermi da una finestra”. Ed anche lì, per un attimo mi sembra strano che me lo dica: io non sono una fumatrice, l’onnipresenza del pacchetto in borsa non significa nulla.

Questo inverno credo di aver fatto pace con la mia amica Siggy: se la notte ho troppi pensieri esco sul balcone e fumo, a ruota, anche tre o quattro sigarette in dieci minuti. Poi finisco il pacchetto e per una settimana, pur avendo il distributore esattamente sotto casa, non sento assolutamente l’esigenza di sfogarmi sul fumo. Poi arriva la sessione d’esami e devo studiare, e allora dopo pranzo caffè&sigaretta è quasi un rito propiziatorio.

E finalmente il nostro rapporto non ha più bisogno di essere inquadrato: accetto con serenità che nella mia testa una sigaretta che si accosta a delle labbra dipinte di rosso sarà sempre affascinante, ma che se sono da sola a casa e mi annoio non ho bisogno di fumare (però qualche volta quasi me lo impongo, almeno di contro non mangio Nutella fino al diabete).

In conclusione?Non c’è niente da fare: la siga è figa. Ma con moderazione.

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E per te ogni cosa che c’è, ninna na, ninna e

E per te ogni cosa che c’è, ninna na, ninna e

A volte mi chiedo cosa ci sia di sbagliato nella nostra situazione. Ti giuro, vorrei capirti, ma dubito che mai ci riuscirò. 

Io avrei sempre sognato un fratello o una sorella maggiore, o meglio ancora di averli entrambi, ma già con la sola azione di nascere mi sono bruciata questa possibilità. Allora me ne sono fatta una ragione ed ho stressato mamma e papà perché mi dessero almeno un fratellino o una sorellina minore.

Quando sei nata non potevo credere ai miei occhi, avrei passato le ore a guardarti dormire nella culla. A volte, di nascosto, credendo di non essere scoperta, entravo nella nostra stanza dove tu già dormivi, solo per guardarti e immaginare come avremmo giocato insieme una volta che tu fossi cresciuta.

Delle due, io sono sempre stata quella col carattere peggiore: tu eri l’angioletto biondo della famiglia, la piccolina, quella che davanti a un rimprovero, più che rispondere, piangeva pentita, e allora tutto si risolveva e nessuno riusciva a darti una colpa che fosse una. Io ero diversa: sono sempre stata una bambina buona, di buon cuore e di buone intenzioni, ma quando mi facevano saltare la mosca al naso sbattevo i piedi per terra e mi beccavo tutte le sculacciate del caso.

Se giocando mi soffocavi premendomi un cuscino in faccia “eri piccola, non potevi capire”. Se io ti rincorrevo intorno al tavolo a casa della nonna “Elisa, smettila, sei la più grande e spaventi sempre la PICCINNA”, con due enne, in pieno salentino style. Noi litigavamo a volte, questo è vero, ma la maggior parte del tempo sapevamo bastarci a vicenda nonostante i tre anni e mezzo di differenza, che a volte sembravano niente e altre volte erano un abisso. 

Tu eri quella col carattere meraviglioso ma con un grandissimo senso di responsabilità, io ero la rompina che però sapeva far ridere tutti al momento giusto, e questo era scontato e insindacabile, però non ci invidiavamo niente, e non facevamo altro che venirci incontro quando una delle due la combinava grossa e doveva pagarla. Io avevo risposto male a papà? “Papà, ti prego, basta gridarle contro, altrimenti piango io”.Tu avevi rotto il cesto della biancheria mentre la mamma e papà erano fuori? “Mamma, non è stata lei, sono stata io… ma per sbaglio eh!”

Ci scambiavano per gemelle, ti ricordi? Nonostante io (almeno da piccola) fossi più alta di te, nonostante io fossi bruna e tu bionda. Nei viaggi la mamma ci faceva vestire uguali, e noi, diligenti, seguivamo i nostri genitori per ore e ore nelle camminate, ridendo e divertendoci, godendo l’una della compagnia dell’altra. 

Poi abbiamo passato quella fase in cui tu volevi imitarmi, chissà se ora te lo ricordi, io ero alle medie e tu volevi seguirmi dappertutto. A volte di malavoglia, ma molto più spesso senza alcun problema, ti portavo con me alle festicciole, ti pregavo di non darmi problemi, facevo finta di essere seccata dalla tua presenza, ma alla fin fine neanch’io riuscivo a fare a meno di te. Mi prendevano in giro perché in vacanza-studio sentivo la mancanza di mia sorella.

Ho anche passato la mia bella crisi adolescenziale, e ti confidavo tutto nonostante tu già fin da piccolissima mi nascondessi ogni cosa. Una volta mi hai gridato contro “Quando si litiga in questa famiglia è solo per te!”. Mi hai detto che non avevamo mai problemi se non quando io rovinavo tutto, e mi hai fatto crollare il mondo addosso. Stavi cominciando a non difendermi più nei litigi, se a tavola mi sgridavano e tu intervenivi… ormai era a mio sfavore. Io però continuavo a cercare in te quell’appoggio che avrei voluto in una sorella, anche quando sapevo di essere sfacciatamente dalla parte del torto, cercavo il tuo sguardo per essere sostenuta, ma quello già cominciava a non esserci più.

Ora non so cosa sia successo, da quando non abito più a casa è diventato difficilissimo sentirti, che tu mi faccia una confidenza non ne parliamo, non succede più forse dai tempi delle materne. Ti faccio presente in continuazione che se hai una sorella maggiore bè… potresti sfruttare la situazione a tuo favore, potresti chiederle consiglio su ciò che lei ha appena vissuto, potresti semplicemente smetterla di chiudere ogni accesso che io cerco di aprire, o almeno dirmi perché, da un giorno all’altro, ho smesso di andarti a genio e di essere importante nel ménage della tua vita.

Ti servo solo quando faccio la battuta divertente? Solo quando a tavola continuiamo a parlare senza soggetti e predicati ma capendoci lo stesso? 

Lo so, mi potrai trovare esagerata. Ma dubito che qua mi leggerai, ed anche se dovessi farlo ancora una volta non ti sforzeresti abbastanza per cercare di aprirti un po’ di più. E’ il tuo carattere, posso capirlo. Io nei tuoi quasi 17 anni di vita mi sono sforzata tanto per capirti, mi sforzo di non prendere in mano il telefono e parlarti per 5 ore di fila, mi sforzo di non abbracciarti in continuazione quando ti vedo e a volte mi sforzo di non ficcare il naso nei tuoi affari, anche solo per capire cosa ti succede. Perché, una volta per tutte, non puoi capire che tua sorella tutta questa indifferenza non la regge, che tutto questo tuo silenzio la fa stare male?

Mi manchi, mi manca la mia compagna di giochi. Ti voglio bene.