Cose che (non) cambiano

Cose che (non) cambiano

Io l’avevo detto che mi mancava il Sud, e infatti non ho resistito: ho dato questa benedetta idoneità di informatica (senza fare neanche un misero errore, applausi per me) e sono saltata su un treno per Lecce.
Lasciando perdere il mio viaggio fantozziano di cui, tranqui funky, vi racconterò comunque molto presto, vorrei concentrarmi sulla situazione che sto vivendo al momento.

Dunque, da quando sono tornata ho scoperto che:
1. Ultimamente al locale di mia mamma (ha una gastronomia) si lavora come i ciuchi, ergo a casa nostra a pranzo cucina mio padre e la sera si mangiano CARBOIDRATI che arrivano dal locale della mamma. Vorrei sottolineare la straordinarietà dell’evento, per una famiglia di persone che sono perennemente a dieta;

2. La mia sorellina jappa, Yurika, ieri è tornata ai suoi lidi natii. Cioè, in realtà è ancora in viaggio,  ma abbiamo dovuto salutarla in stazione e credo di non aver mai visto tante lacrime in vita mia se non ad un funerale. Ci mancherà tantissimo la nostra Jap-Potato;

3. La Sindrome del Casalingo di mio padre si è ulteriormente aggravata da quando la mamma ha preso a lavorare full-time, ormai non mi stupirei di vederlo girare con un vestitino di pizzo nero, il grembiulino bianco e la crestina in testa, da perfetta cameriera francese;

4. Mia sorella ha un account su un sito che si chiama TwitMusic, che io non sapevo neanche che esistesse un sito simile, ma invece lei carica tutte le sue registrazioni vocali riscuotendo un successo che – mon Dieu! – fa spavento. È diventata esageratamente brava, quella femmina di sorcio che non è altra;

5. Nonostante un terzo dei miei amici sia ancora su, sparsa per le varie città del Nord a dare gli ultimi esami della sessione, e un altro terzo sia già in riva al mare, c’è pur sempre quello zoccolo duro di personaggi che restano in città e pretendono un’uscita o un caffè: neanche a dirlo, mi piego molto volentieri a questi ordini perentori. E mi chiedo cosa dirò tra una settimana al professore di latino quando mi presenterò a sostenere un esame che, al momento, mi terrorizza quasi quanto il famigerato Rasputin di cui ho parlato in qualche vecchio post.

Tutto ciò l’ho scoperto nel giro di due giorni o poco meno.
E in questi due giorni ho già avuto il tempo di fare tutte queste osservazioni, salutare parte dei parenti, fare una sorpresa a mia mamma che non sapeva del mio ritorno e sbolognare a santa Zamira tutte le mie robe sporche e i miei jeans da riparare. Ho anche dovuto rifiutare un gelato con Giacomo per studiare (che nervi), ho sentito Giorgio che mi ha fatto una specie di concerto privato al pianoforte (Allevi gli fa un’egregia pippa) e sono stata a casa di Laura dove tutti hanno notato la straordinaria lunghezza dei miei capelli. Sono stata ad un concorso di canto di mia sorella, in una pizzeria all’aperto, dove noi quattro avevamo un tavolo personale e non abbiamo fatto altro che ridere per tutto il tempo aspettando delle pizze che sono arrivate a mezzanotte. E lì ho incontrato un sacco di facce vecchie e nuove, che mi hanno accolta più o meno benevolmente. Ho fumato davanti ai miei genitori che non hanno fatto una piega.
Ho preparato la pasta alle cozze, con delle cozze vere che sapevano di mare anziché di gomma, e mentre la preparavo è squillato il telefono di casa. Ha risposto mio padre dicendo “Ciao amore mio”: era la mamma.
Poi stanotte sono stata svegliata da un rumore che mi ha fatto pensare in sequenza al terremoto, a una carica di elefanti e infine ad un cacciabombardiere che stesse sorvolando il Salento. Poi ho avuto un’illuminazione e ho girato la testa per guardare alla mia destra: a cinque centimetri dal mio letto, con un sorriso beato sul suo bellissimo viso angelico, mia sorella russava così forte da far segnare come minimo un 8 pieno sulla famosissima scala Richter.

È proprio vero che su alcune certezze si può sempre contare.

Due bracciate tra i ricordi

Due bracciate tra i ricordi

C’è un problema, quando studi fuori e torni a casa una volta ogni due o tre mesi.
E’ un problema che va oltre la nostalgia di casa, la mancanza dei tuoi genitori, il cavarsela da soli. 
Sì, perché quando torni l’aria di casa è la stessa.
I genitori ti vogliono ancora bene e ti abbracciano stretto stretto.
E col tempo impari a cavartela da sola.

Poi torni giù, dove sei cresciuta. E devi stare attenta a non camminare da sola, a non pensare troppo, perché le strade che conosci fin da quando sei nata diventano all’improvviso un campo minato di ricordi. 

Finché continui a vivere a casa non puoi scappare dai problemi: devi affrontarli. Devi continuare a incontrare per strada la stessa gente, e se ci hai litigato o chiarisci o smaltisci la rabbia per fatti tuoi, allora col tempo maturi e assimili. Ma quando vai via, quando per 10 mesi all’anno scordi completamente tutto ciò che è rimasto incompiuto, fare un tuffo nei ricordi ancora freschi può essere micidiale.

Oggi camminavo per strada e rivedevo, su ciascuno di quei metri quadrati, una piccola Elisa di tre, quattro, cinque anni prima.
Lì avevo incrociato quel tizio strano… e lì, invece? Lì abita l’amica a cui ero legatissima e che non sento da secoli… e là, oddio guarda, là quella mattina c’ero stata insieme a quello… però cavolo, qua l’altra volta per poco non mi investono quei deficienti. 

Sotto di me la strada che scorre, la mia testa invece ronza instancabile. La mia città che sotto la pioggia diventa un cimitero di ricordi, con molti dei quali non ho ancora fatto pace. 
Ci sono quelle persone con cui davvero non mi aspettavo che i rapporti si stringessero così tanto a distanza.
E poi ci sono quelle che credevo avrei avuto accanto in eterno, e invece non è stato così.

E’ un gioco perverso, quello dei ricordi. E se inizi a giocarci sotto la pioggia battente potresti anche rischiare di affogare.
Io, per quanto mi riguarda, cerco di dare due bracciate e tornare a riva.
Staccare la testa anche quando sono qui.

Tanto cosa cambia ormai?