What will I be?

What will I be?

A volte rileggo il mio nick (gocciadisplendore) e cerco di immaginare le reazioni degli altri blogger quando leggono un post scritto da una con un nome tanto pretenzioso. A proposito, ultimamente le iscrizioni stanno pian piano aumentando, quindi volevo dare il benvenuto a chi da poco è entrato nella mia cerchia!

Dicevo. Gocciadisplendore. Che nome impegnativo eh? Sembra quasi la promessa di un qualcosa di bello, di grandioso, come un puntino colorato in un mare di grigio. Per ritenersi tale, ci vuole davvero tanta fiducia in se stessi. 
Io, che tutta ‘sta fiducia non ce l’ho, ho scelto questo nick come un augurio a me stessa. 

Il mio nome affonda le sue radici in una canzone di De André che, come già saprà chi mi segue da un po’, è il mio cantante preferito e per certi versi un maestro di vita. 
Dei suoi ideali mi piace in particolar modo la sua esaltazione degli ultimi e il suo abbracciare le diverse culture e la gente che, per un motivo o per l’altro, è costretta ad andare “in direzione ostinata e contraria”, oppure più semplicemente VUOLE, per una sua spontanea scelta, distinguersi dalla massa. 

Nell’album Anime Salve ogni canzone è dedicata ad un gruppo di persone emarginate dalla società, che per scelta o per forza si sono ritrovate ad andare in direzione ostinata e contraria.
E quindi Princesa parla di Fernandinho, che capisce di non sentirsi uomo e diventa un transessuale. 
Khorakhanè (a forza di essere vento)
, la mia preferita, parla di una tribù di Rom che, a detta di De André, hanno rubato perfino a casa sua, ma mai in giacca e cravatta travestiti da funzionari di banca.
Dolcenera, ambientata nel corso di una terribile alluvione a Genova, racconta di un amore adultero e così via.

E poi c’è Smisurata Preghiera, in chiusura, che non racconta di una storia in particolare ma di tante storie. E’ una preghiera ad un’entità superiore, di cui lo stesso De André dirà che probabilmente non servirà a nulla, ma lui ci vuole provare lo stesso a lanciare il suo messaggio. 
E’ un elogio a tutte le minoranze, a tutti quelli che “tra il vomito dei respinti” muovono gli ultimi passi “per consegnare alla morte una goccia di splendore”.

A modo mio anch’io mi sono sempre sentita un po’ una minoranza, non chiedetemi quale perché non saprei dirlo, e se una vaga idea ce l’ho non ci tengo a farla sapere agli altri. Eppure, anche sentendomi sempre un po’ inadeguata, un po’ al di fuori della maggioranza, forse anche con un atteggiamento che ad altri potrà sembrare arrogante o presuntuoso, ho da sempre la voglia di lottare con le unghie e con i denti per stillare quella goccia di splendore che forse può essere consegnata perfino da una piccoletta come me. 

Ed ecco che ho deciso di impormi questo nome, in un contesto che, spero, sarà quello che mi permetterà di consegnare qualcosa di veramente buono nella mia vita: la scrittura, le idee, un mondo forse un po’ astratto, lontano dalle ferree regole della matematica e della fisica. 
Qualcuno potrà dire che è un qualcosa di inutile e poco pragmatico. Sono d’accordo, ma è il mio modo di esprimermi e donare qualcosa. 

Ecco, questo è il perché. Goccia di splendore non è ciò che sono, ma ciò che sogno di poter creare. E’ l’ombra di un progetto, forse anche troppo ambizioso, ma è ciò che più sento mio.
Come pensava Emma Morley, protagonista femminile del romanzo “Un giorno” di David Nicholls, “non voglio cambiare il mondo, ma fare qualcosa per il piccolo pezzetto di mondo intorno a me”.