Mio padre ha un viso di una dolcezza unica. Ha dei tratti delicati, perché nulla in lui è scortese, perfino il naso è piccolo, le labbra sottili, gli occhi espressivi. E, giusto per non dare troppo nell’occhio, i capelli hanno deciso di abbandonarlo già parecchi anni fa (per dire, guardando una foto del loro viaggio di nozze un mio vecchio… amico disse che papà somigliava a Gigi D’Alessio, poveraccio).
Papà non è alto ma non è nemmeno un nanetto. E’ solo piccolo, così è più facile volergli bene.
Ha i polsi e le caviglie sottili e non ingrassa mai, e questo fa infuriare le sue tre donne, che da anni lo osservano fare “la scarpetta” e sfoggiare delle gambe da stambecco.
E’ sempre vestito bene, un po’ perché ha un’eleganza innata, un po’ perché la mamma fa shopping per lui.
Io sono l’unica in grado di farlo arrabbiare, perché sono una testa dura e un’indisponente, altrimenti arrabbiarsi non rientra nelle sue capacità, sarà per questo che anche gli altri trovano difficile avercela con lui, e Niko lo adora. Mi ricordo ancora di quella volta in cui papà aveva parcheggiato male la macchina, e quando un signore chiese con estrema grazia “chi fosse il coglione che aveva parcheggiato così”, rischiò il linciaggio: Niko subito si alterò e gli gridò contro “non ti permettere, quella è machina di ingeNIEre, è una brava persona!”.
Come ogni bambina, anch’io da piccola volevo sposarlo. Questo sarebbe ancora normale se a volte non fossi tentata di sposarlo ancora oggi. Perché gli uomini come lui sono rari, e me lo dicono veramente tutti. Me lo dice la mamma, me lo dicono le nonne, me lo dicono le amiche, me lo dice chiunque lo conosca.
A volte dicono “è un uomo d’altri tempi”, ma io non sono d’accordo. Perché gli uomini d’altri tempi saranno anche stati dei cavalieri, ma non lavavano i piatti quando la moglie era stanca, non lavoravano in giro per casa, non portavano ogni mattina il caffè a letto a moglie e figlie, e certamente si ritenevano i capo-famiglia. Ma papà non è il capo-famiglia, perché a casa mia un capo-famiglia non c’è, siamo tutti pirla allo stesso modo.
Papà mi ha insegnato a guidare la bicicletta e la macchina (anche se ancora la patente non l’ho presa), e si è stupito quando non ho fatto spegnere l’auto il primo giorno in cui ha iniziato a darmi lezioni. E poi ha afferrato in un nanosecondo il volante quando alla mia prima retromarcia ho rischiato di uscire dalla strada e finire tra le cicorie. E quando ci ha tratti in salvo, rideva. Io invece, ça va sans dire, avevo già pianto tutte le mie lacrime.
Perché papà è così: lui non si scompone, ride. Ride quando succede un imprevisto, ride quando io e lui prendiamo in giro mia sorella, ride quando lavora con i suoi colleghi e ride quando la mamma si stizzisce se lui le dà risposte sceme.
Ogni tanto litighiamo ma fare pace è semplice: basta una battuta delle nostre, un gioco di parole, un’allusione e tutto torna com’era. Poi a volte parliamo seriamente con una tranquillità che mi appartiene solo quando sono con lui, mi racconta che la pigrizia l’ho ereditata da lui, come anche la disorganizzazione e il disordine, e poi mi consola perché se lui ce l’ha fatta a vincere i suoi difetti lo posso fare anch’io.
Non è un padre di quelli che vantano sempre la bellezza delle proprie figlie, ma le rare volte in cui lo fa ha la commozione negli occhi, glielo si può leggere chiaramente che ciò che dice lo pensa davvero. Solo che non sempre riesce a esprimerlo a parole, e allora vedi che il suo cuore, pur così grande, è diventato improvvisamente troppo stretto per contenere tutto ciò che prova: ha bisogno di esternare qualcosa, ma le sue parole non sono mai troppe, compensa il sorriso.
Perfino con i figli degli altri è un bravo papà: se non mi credete guardate le foto che gli hanno scattato in barca mentre gioca con i figlioletti dei suoi soci (età media: 5 anni), che gli si arrampicano addosso come tante scimmiette e ridono di ogni sua smorfia. E mi ricordo ancora di quando gli si fermò la macchina a metà del tragitto tra Roma e Lecce, in viaggio con lui c’erano due ragazzi che forse non avevano ancora vent’anni.
Lui avvertì la mamma, aspetto con serenità il carro attrezzi e poi tornò più stanco che mai mentre noi eravamo lì in agitazione. Lo accogliemmo con un cartello “Bentornato angelo!”, e lui rispose semplicemente “Io mi chiamo Guglielmo, mica Angelo!”.
E invece lui è il Mio angelo.
Questo non è un post per la festa del papà, quanto piuttosto la “conseguenza” della festa del papà. Per ricordarlo, anche se a distanza, guardavo una nostra foto nel giardino di casa, e ancora una volta mi ha colpito il suo viso.
Te lo dico meno di quanto vorrei, ma tanto tu sai che è la pura verità: ti voglio un bene infinito Testa di Boccia.
