Femminista la minchia

Femminista la minchia

Sono arrabbiata e non poco. Sollevata, rincuorata, al caldo sotto le coperte, ma furiosa.

Ho cenato da alcuni amici, poi abbiamo studiato tutti insieme fino a poco più di mezzanotte. Dopodiché io e un amico, come spesso accade, ci siamo incamminati insieme verso le rispettive case per separarci a metà strada e proseguire ognuno per fatti propri.
Ero a circa 500 metri da casa quando una macchina mi si è affiancata e il suo conducente, con il finestrino semi-aperto, mi ha guardata attentamente ghignando e procedendo a passo d’uomo per qualche metro.

Poi ha proseguito, ma doveva aver capito dove mi stavo dirigendo e me lo sono ritrovato di nuovo al fianco: stesse occhiate, stessi ghigni, stesso passo d’uomo. Ho dovuto tirar fuori il cellulare e chiamare gli amici che mi avevano ospitata, far finta di parlare con mia madre, alzare il passo e tutta una serie di altre precauzioni e cavolate che non sto qui a ripetere, finché non sono stata al sicuro nell’androne di casa.

Se il problema si fosse limitato a stasera non sarei qui a dare spazio e importanza a un deficiente che, evidentemente, non aveva nulla di meglio da fare che dare fastidio a una ragazza sola e, di fatto, inerme.
Però domenica scorsa tornavo a casa, addirittura ad un orario più ragionevole, e un ragazzo nascosto dietro un cassonetto ha pensato bene di commentare il mio passaggio con una sorta di sibilo e una sonora risata con i suoi comparuzzi; ed anche in quel momento, ad essere sincera, non mi sono sentita propriamente a mio agio.

Sono furibonda perché, come dice la mia amica Reisa, “che cazzo aver paura di essere femmine”.
Sono furibonda perché non sono una persona che si spaventa facilmente, ma non sono neanche talmente incosciente da credere che potrei avere la meglio su uno stupratore.
Sono furibonda perché, se avessi un gemello identico in tutto e per tutto a me, che avesse solo dei genitali diversi dai miei, tra di noi ci sarebbero comunque delle differenze abissali.
Sono furibonda perché mi sento da sempre uno spirito libero, e mi rifiuto categoricamente di pensare che la mia sicurezza debba dipendere da un eventuale fidanzato che adesso non ho, certo, ma che se pure avessi mi ripugnerebbe ridurre al ruolo di guardia del corpo.

Non ho nessuna intenzione di continuare a vivere in un mondo in cui, in un giorno futuro, dovrò sentire la necessità di raccomandare a mio figlio minore di tenere d’occhio mia figlia maggiore.
Perché non va bene, perché non è giusto, perché magari se avrò una figlia, minore o maggiore che sia, sarà per tutta la vita più matura di suo fratello, o più volenterosa o più intelligente, o ancora matura, volenterosa e intelligente quanto lui, ma questo non potrà e non dovrà influenzare la sua sicurezza fisica e psichica.

A me ormai del femminismo dà fastidio il fatto che sia ancora necessario, perché mi è stato insegnato che le parole che finiscono in -ismo o -ista tendono un po’ tutte all’estremo, e agli estremi raramente si trova qualcosa di buono.
Mi dà fastidio che si debba ancora fare così tanta sensibilizzazione, e che una donna notevole come Emma Watson venga pubblicamente insultata e criticata sui social perché, nel dare il suo addio al collega Alan Rickman, ha citato l’impegno di quest’ultimo nella lotta femminista pur essendo uomo. Per chi non lo sapesse Emma Watson è stata accusata per questo di strumentalizzare la morte di un collega, di voler tirare acqua al suo mulino e di essere addirittura una persona disgustosa e priva di morale.

Se tanto odiate il femminismo, puttana la miseria, smettetela di farne esistere la necessità: smettetela di licenziare le donne incinte, non vi sognate mai più di chiedere ad una donna “lei ha intenzione di avere figli?” durante un colloquio di lavoro, non insegnate ai vostri figli che l’uomo che ha tante donne è un figo, ma la donna deve avere un solo uomo altrimenti, perdindirindina, non la potrete vendere per cento cammelli ma appena per dieci. Sempre a criticare il mondo islamico noi occidentali, eh? Poverine le donne islamiche, che vivono sempre assoggettate al padre, e poi al fratello e poi al marito. Ma i miei nonni, i miei genitori, la maggior parte delle mie amiche, sono più contenti di sapermi tornare a casa a piedi con un amico, piuttosto che in bici con due amiche.
Smettetela di divertirvi a spaventarci in questo modo: non è divertente, non lo è affatto, e se voi doveste subire il medesimo trattamento da un energumeno omosessuale alto due metri e dotato di una fantasia perversa come la vostra la pensereste esattamente come noi.
Smettetela anche di insegnare ai vostri figli che il maschio può essere anche stronzo, deficiente e coglione, ma la donna è puttana, troia, cagna o zoccola: siam sempre lì.
Smettetela di darmi spunti per scrivere post seri e incazzati, infervorati, che trasudano bile e sangue marcio, che io voglio scrivere di cose belle e tornare a lamentarmi di quanto siate pirla quando siete in buona buonafede, o di quanto poco siate tonici in confronto a Claudio Marchisio.

E poi basta, davvero. Non vi chiedo i parcheggi rosa, né l’abbassamento dell’IVA sui tampax, non vi chiedo di non prendermi in giro né di cedermi il passo aprendo cavallerescamente la porta da cui passeremo entrambi: io, come tante altre, di queste cose me ne sbatto.

Abbiate solo la decenza di essere civili. Grazie.

(P.s. A proposito della mia amica Reisa, la sistemazione della grafica di questo blog è merito suo, come anche la foto della sottoscritta che campeggia lì in alto.Se volete dare un’occhiata ai suoi lavori cliccate qui http://reisahboksi.tumblr.com/. Lei non sa che volevo farle questa pubblicità, però se la merita, quindi perché no?)