Gingol bels, gingol bels, gingol ol de uei… sarà che Natale è tra poco più di una settimana, ma a me sembra che ogni anno si sforzi di arrivare sempre più veloce, quasi in scivolata, e che ormai da un po’ non abbia la buona creanza di farmi abituare al suo arrivo con calma e ragionevolezza.
Ogni tanto, camminando molto, mi capita di far caso a un odore nell’aria, a uno scampolo di stoffa, a una nota musicale che mi riportano ai Natali di quando ero piccolina, quando andavo a scuola dalle suore e l’arrivo dell’Avvento era sinonimo di canti, di decorazioni, di lavoretti e di giochi.
Mi mancano le recite scolastiche e un po’ rido e un po’ piango ripensando a quella volta in cui mi avevano fatto vestire da Madonnina e insieme all’angelo Gabriele avevamo cantato un duetto, ai bimbi di prima elementare sempre vestiti da angioletti che cantavano la ninna-nanna al bambinello, al giorno di Santa Lucia, giorno in cui allestivano le bancarelle proprio sulla strada della nostra scuola. E allora, in via del tutto eccezionale, la maestra durante la ricreazione portava una classe di 32 piccoli scatenati a comprare le caramelle gommose dalla bancarella di dolciumi.
E poi “Natale” (come qualsiasi altra festività), per i terun significa cibo a non finire, e in particolare per i Leccesi significa pittule alla Vigilia dell’Immacolata e a Natale, e i famosi e famigerati purceddhruzzi e cartiddhrate che si preparano durante l’Avvento e si mangiano per tutte le feste.
Ogni famiglia ha un suo rituale dei purceddhruzzi. Quello della mia, ad esempio, consisteva nel riunire tutte le donne di casa (nonna, mamma, zia Carla, io, mia sorella e le mie cugine) e impastare quei 4-5 chili di pallini di impasto profumatissimi che poi, una volta immersi nell’olio della frittura, impuzzolivano tutta la casa per giorni e forse settimane. A noi bimbe riservavano sempre un pezzetto di impasto, che ovviamente ci divertivamo a modellare nelle forme più improbabili e poi doveva essere inevitabilmente buttato. Nei giorni successivi, poi, mamma nonna e zia si riunivano per ricoprirli di miele, decorarli e dividerli nei vari vassoi (le salentine guantiere) da regalare a tutto il parentado e amici vari.
Che poi l’assurdità dei purceddhruzzi è proprio quella: ogni famiglia ne produce una quantità spropositata, colossale, abnorme, per regalarla tutti gli amici e i parenti che, a loro volta, hanno prodotto la medesima quantità di roba con lo stesso intento.
E se chiederete a qualcuno, a chiunque, il perché di questa tradizione probabilmente vi risponderanno che si fa per affetto e senso dell’ospitalità, ma la realtà è che c’è una spietata competizione tra chi fa i purceddhruzzi più buoni, le cartiddhrate più friabili, le rose più belle.
L’eventuale zia Oronzina (tutti i salentini ne hanno una, vera o acquisita) ha la sua ricetta segreta, la nonna Maria mette nell’impasto un goccio di liquore, la comare ‘Mmaculata li decora con le scagliette al cioccolato e tutto il nipotame è chiamato all’ardua sentenza (“Dì la verità, a zia, i purceddhruzzi miei sono i più buoni o no?”).
Ovviamente l’unico risultato che si ottiene ogni anno è l’aumento spropositato di peso dei poveri nipoti più o meno costretti a ingurgitare pantagrueliche porzioni di cibo rigorosamente fritto, ipercondito e immerso in ricche e burrose salse e salsine.
Difatti la terrona media è conscia del fatto che prima di Natale dovrà aver perso il doppio dei chili che deve perdere in vista dell’estate, per poi recuperarne un’abbondante decina durante le festività e continuare questo perverso gioco di perdita e ripresa fino alle vacanze di Pasqua, dopo le quali non sarà concessa l’ombra di uno sgarro fino alla temuta prova costume, alla quale arriverà in ogni caso meno soddisfatta del previsto.
Ma sto divagando, tanto per cambiare, e mi sto perdendo in inutili e dolci e grassi ricordi come le simpatiche vecchiette reduci del dopoguerra.
Dicono che a Natale siamo tutti più buoni e generosi, perciò mi sembra doveroso essere più buona col mio prossimo e scrivere qui, pubblicamente, una lista dei miei desideri nella speranza che gli altri siano così generosi da esaudirli.
Perché se ci pensate è anche un’opera di bene: bisogna dare agli altri la possibilità di fare un regalo che ci piaccia, per evitare loro la mortificazione di vederci sorridere con quei falsissimi sorrisi di plastica.
Bisogna restituire ai parenti la gioia di vederci scartare dei regali anziché limitarci a quel passaggio di bustarelle piatte con dentro le banconote importanti che hanno sempre un che di mafioso.
E basta con tutte queste sdolcinatezze, questi buoni sentimenti, queste dichiarazioni che grondano miele e questi “All I want for Christmas is you”: con buona pace di Mariah Carey e Michael Bublé quest’anno faccio anch’io la materialista e per l’amore ci sarà tempo e modo nella prossima vita.
Prendete quindi nota, amici, parenti e conoscenti: nel caso in cui voleste omaggiarmi di un gradito presente perché quando leggete le mie minchiate vi sentite più allegri, o perché la mia idiozia vi rende più sicuri della vostra intelligenza o semplicemente perché mi volete bene, ho stilato una breve lista dei miei desideri.
Vi pregherei di apprezzare il fatto che ce ne siano per tutti i gusti e per tutti i budget, e vi inviterei, se volete farmi e farvi cosa gradita, a fare altrettanto stilando le vostre liste personali e fornendomene una copia. Ma non perdiamoci in quisquilie e iniziamo, ordunque, a parlare di cose serie.
REGALI PER ELISA
- Un costume da Babba Natala: giusto per partire dal frivolo-inutile. Non mi serve per perversi giochi erotici o qualcosa di simile, è solo che l’idea di averne uno risveglia l’adolescente scema che sonnecchia dentro di me, quella che ama tanto i telefilm americani con le festicciole a tema natalizio in cui ci si mettono i cerchietti con le corna da renna e minchiate simili. Non me ne frega nulla della qualità, prendetene uno di un tessuto che sembra cartone, che costi 10 € o anche meno e mi farete felice;
- Una smartbox: altresì nota come la soluzione di viaggio di chi ha sempre le pezze al posteriore. Compratemene una a tema avventura, adrenalina o come minchia si chiama, la più economica in assoluto, e sarò una bimba gaudiosa. Unica condizione richiesta: che comprenda l’opzione “parapendio”. Capisco che già con questo regalo il prezzo aumenta e non di poco, ma sono magnanima e dunque fornisco altre opzioni;
- Sciarpe, cappellini o guanti di lana spessa: li adoro e non ne avrò mai abbastanza. Più spessi e caldi sono e più li trovo belli. E ce ne sono per tutte le tasche;
- Un tavolino basso e quadrato dell’IKEA: bianco, grazie. Mi serve per la stanzetta pavese e costa 5 €, quindi direi che non ci sono scuse. Se non vi va di incartarlo speditemelo a casa che la spedizione dovrebbe essere gratuita, e potete fare tutto via Internet. Ma dove la trovate un’altra che si accontenta come me;
- Un assortimento di prodotti di bellezza: possibilmente della Kiko, ma concedo l’assoluta libertà nella scelta della marca. Al momento mi servono una crema idratante per il viso (un formato che duri più di due giorni), una maschera all’argilla, una crema idratante per il corpo, uno scrub per il viso, un fondotinta non eccessivamente chiaro, un correttore e qualsiasi altra cosa vi passi per la testa. Se voleste regalarmi tutti questi prodotti ve ne sarei eternamente grata, ma anche risparmiarmi la spesa di una o due cosucce non sarebbe male;
- Qualsiasi utensile per la cucina che serva a preparare i dolci: carissimi amici, vi piace mangiare i dolci che preparo? So che la risposta è sì, perciò poche storie e regalatemi tasche da pasticciere professionali, una teglia piatta per i biscotti, stampi dalle forme particolari, tappetini per macarons, stampini per madeleines, termometri da cucina e ingredienti esotici che difficilmente riesco a reperire in Italia;
- Dei calici da vino rosso: sì, ok, è un vezzo inutile, ma io e Ledia vogliamo bere il vino in bicchieri di classe e instagrammarli come se non ci fosse un domani, per sottolineare che in questa casa ogni tanto si prendono iniziative raffinate ed eleganti, e mica siamo uomini che girano mezzi nudi grattandosi le chiappe e dicendo parolacce. CHIARO?!?;
- Un iPhone 5: mi pare evidente, papà, che questo invito non sia rivolto a tutti. Non che io voglia lanciare messaggi subliminali, papà, ma vedi, papà, vorrei un cellulare scelto da me, giusto per il gusto di averlo scelto proprio io, papà. Tra l’altro, papà, anche l’iPhone meno costoso ha il quadruplo della memoria del mio attuale Samsung. Se qualcuno, papà, volesse essere così generoso, papà, gliene sarei eternamente grata. E vorrei ricordare a tutti, senza motivo alcuno, che mio padre è il padre migliore del mondo;
- Un assortimento di calzini, parigine, calzettoni, scaldamuscoli: per la corsa, per tutti i giorni, per andare a dormire con i piedi ricoperti da lana antistupro. Le calze non mi bastano mai e le perdo sempre, perciò, a meno che non siate dei perversi feticisti con intenzioni poco felici, andate da Calzedonia a fare scorta. La mia coinquilina finalmente non sarà più depredata dei suoi calzini giorno dopo giorno e ve ne sarà eternamente grata;
- Una valigia per i viaggi di pochi giorni: la mia si è rotta e continuo a rubare quella della mia santa coinquilina. Vi pregherei di porre fine a questo scempio;
- Dei completini intimi: non specifico la taglia perché mi pare ovvio che un regalo del genere sia riservato solo a persone con cui esiste un certo grado di confidenza, che dunque conoscono già le mie misure, e che i maniaci random sono cordialmente pregati di astenersi. Anche qui, stesso discorso dei calzini e del costume da Babba Natala: non ho strane fantasie, vorrei soltanto provare l’ebbrezza di indossare più spesso un intimo coordinato, ma mi sento troppo in colpa per dilapidare i guadagni delle ripetizioni facendo arricchire Tezenis e compagnia bella. Arricchiteli voi per me.
Ovviamente avrei mille altri desideri: cappottini, un pigiama carino e femminile, scarpe col tacco, borse e borsette, una macchina da scrivere, vecchi vinili di De André da esporre come preziose reliquie, un iPod o un aggeggio simile che mi faccia ascoltare la musica quando corro, un biglietto per andare in Interrail, un corso di albanese o spagnolo o francese… ma per un motivo o per un altro ho ritenuto giusto tenerli fuori dalla lista ufficiale.
Con un libro, infine, andrete sempre sul sicuro. Vi stupirò: sarà particolarmente apprezzato un libro che parli di letteratura latina. Ma se, invece, vi sognerete di mettermi tra le mani Federico Moccia o Fabio Volo, ne trarrò le dovute conseguenze e sarete sulla mia lista nera fino alla fine dei vostri giorni. E non ditemi che non vi avevo avvertiti, Babb(e)i.