Quando è nato questo blog, non mi stancherò mai di ripeterlo, la persona che riempiva i suoi post aveva la mia stessa faccia e il mio stesso nome e cognome, ma si portava dietro una zavorra di negatività e pesantezza che non voglio neanche ricordare.
Non che ora vada in giro a scrivere sui muri che l’ottimismo è il profumo della vita, ma diciamo che mi sono votata ad un realismo che tende più alla positività che alla desolata tristezza.
D’altronde era un momento di passaggio (cambio di facoltà, di abitazione, di… taglia di pantaloni, sigh), mica potevo pretendere. Ho riflettuto per tutto l’anno su quale potesse essere la risoluzione ai miei problemi, e la conclusione delle mie elucubrazioni è stata una sola: dovevo riflettere di meno e sbronzarmi di più. Se è vero che ogni volta che ho una sbronza il giorno dopo nasconderei la testa sotto il cemento, è pur vero che nel mentre mi diverto tantissimo, e non trovo per nulla sconveniente abbordare pelati per la strada solo per il gusto di dire loro “non hai i capeeelli! Ah!” (bè sì, capisco che non ci sia nulla di trasgressivo nell’insultare un pelato per strada, ma è pur vero che anche mia madre legge ciò che scrivo).
Dunque, è ormai da un po’ di mesi a questa parte che mi sono data agli slogan, giusto perché se proprio devo riflettere è meglio farlo ripetendo una frase che duri pochi secondi piuttosto che leggendo libri alla Bridget Jones che mi insegnano a cercare la felicità facendo esercizi e diete strampalate. Mi sono detta che, innanzitutto (attenzione che arriva il primo slogan), il mondo è dei superficiali.
Inutile negarcelo: è così. Non sto dicendo che per attirare l’attenzione degli altri dovremmo trapiantarci il cervello di Belen Rodriguez, ma il suo culo non farebbe male. Insomma, l’esteriorità ha decisamente il suo perché. Se ancora non siete convinti, ditemi se qualcuno per strada vi ha mai abbordati affascinato dalla vostra anima o dalla vostra personalità.
Talvolta, quindi, meglio pensare di meno e sculettare di più. Almeno per un po’.
L’altra categoria di slogan che ho imparato è legata alle mie abitudini alimentari.
L’anno scorso, primo anno in appartamento, autogestirmi la spesa e dunque i pasti era diventata un’arma a doppio taglio: se da una parte tornando a casa non correvo il rischio di trovare i fagioli (che odio), dall’altra spesso e volentieri trovavo Nutella e biscotti vari. A parte il peso, che lievitava assieme a tutti i dolci che preparavo ogni settimana per la gioia di chi bazzicava questa casa, arrivata a un certo punto mi sono chiesta se ancora ci fossero tracce di sangue nel mio colesterolo.
E poi, diciamoci la verità, dopo Pasqua ho iniziato a pensare all’estate e mi sono messa a dieta illudendomi di arrivare a Ferragosto con un fisico perfetto. Avevo le stesse possibilità di riuscita di uno che si mette in testa di fare le pulizie di primavera in tutto l’Empire State Building, da solo e sperando di farcela in una giornata.
Comunque gli slogan in quel caso erano robe tipo: “bresaola is the new bacon”, “la coca zero è la versione sexy del cuba libre” o ancora “salad is the new fries” e così via. Ovviamente molti dei miei slogan erano e sono in inglese, per suonare più fighi e anche più immediati.
Anche lì, devo dire, non mi sono delusa. Oggi, a sei mesi dalla mia presa di coscienza, i pantaloni che l’anno scorso abbottonavo a fatica non stanno su neanche se tiro la cintura fino all’ultimo buco. E dire che sono ancora a metà strada, figuriamoci.
Altra grande rivelazione, acquisita da molto poco ma diventata una specie di mantra: non ci sono seconde occasioni nella vita. E, se ci sono, non sono mai come le prime. Quindi è inutile pensare “tanto lo farò domani”, “tanto posso sempre riprovare” ecc. No! Piuttosto ho iniziato a dirmi “mal che vada, farò una figura di merda, cosa vuoi che sia?”.
E così sabato, alla pista di pattinaggio sul ghiaccio, ho provato a sentirmi una leggiadra ballerina piuttosto che un ippopotamo in gonnella, ed io e le mie giunture da novantenne ci siamo beccate i complimenti degli ultrasessantenni istruttori marpioni. Ho pattinato per un’ora intera, sempre con i piedi e mai con il sedere, mi sono divertita e non ho sprecato 7 preziosi euro. Anzi, ho perfino pattinato con la gonna e i collant, per fare la romantica (e per scoprire, una volta a casa, due bolle purulente che occupavano ciascun piede per metà).
Infine, e se provo a guardare la questione dall’esterno mi viene quasi da ridere, è da giugno che mi è saltato lo schiribizzo di mettermi a fare jogging. Non che il jogging in sé faccia ridere, è piuttosto l’idea di un’Elisa che fa jogging che mi suona strana, non fosse altro che per la camminata “aggraziata” di cui la natura mi ha fatto dono fin dai primi passi.
E invece, prova e riprova, dal fare 5 minuti e avere il fiatone sono arrivata quasi a una quarantina di minuti, non sempre continuativi, ma ‘sticazzi comunque. Cuffiette, musica truzza a palla e vado che è un piacere.
I primi mesi il solo pensiero di scendere da casa mi dava la nausea, ora se me ne privo per più di cinque giorni di seguito inizio a smaniare. Correre ti ossigena il cervello, ti dà la carica, e soprattutto ti regala qualche grammo di muscoli in più.
Proprio oggi, in effetti, pensavo che ha svariati punti in comune col sesso. Voglio dire: indiscutibilmente ci si muove nell’uno e nell’altro caso, si bruciano calorie e si producono endorfine, volgarmente note come ormoni della felicità. La differenza, probabilmente, è anche in positivo, perché è altamente improbabile che il giorno dopo una corsa le tue scarpe da ginnastica vadano a raccontare a tutte le scarpe loro amiche quanto è durata la tua prestazione e quanto ti muovi bene o male mentre corri. E inoltre le scarpe da ginnastica le cambi quando vuoi, e tendenzialmente non si offendono se le butti via per comprarne un paio nuove. Se poi vai a correre quando hai guadagnato qualche chilo può al massimo essere motivo di orgoglio, certamente non di imbarazzo.
E quindi ho deciso che l’altro slogan di questo autunno sarà “jogging is the new sex”. Me tocca. Per forza. D’altronde non faccio che lamentarmi che ci sia sempre qualcosa che non va bene nelle mie relazioni, ma d’altra parte quelli che mi vengono dietro non mi vanno bene, e purtroppo sono anche di gusti difficili, quindi non è che ci sia qualcuno che mi abbia colpito particolarmente nell’ultimo quinquennio ma che non mi sta cagando di striscio.
Continuo a dire che mi accontenterei di poco, ma di fatto ha ragione mia madre: sono una diamine di snob con delle aspettative decisamente troppo alte. Quindi, nell’attesa che arrivi il mio principe buzzurro a smuovermi il cuore e i collant, ho deciso che posso anche fare la zitella acida a tempo pieno, anche fino alla fine dei miei giorni, ma la zitella cicciona proprio no.
Se proprio devo morire sola, voglio almeno la compagnia di un fisico che Pamela Anderson se lo sogna. Almeno quello.