Due persone sbagliate

Due persone sbagliate

Scusate. Scusate scusate! 
Mi duole constatare che mi è partita la vena romantica
quindi propongo questo racconto
breve che scrissi un po’ di tempo fa.
Prometto che nel prossimo post tornerò
ad essere la solita rompiscatole che dice “minchia” ogni tre parole
e si lamenta di tutto e di tutti.
Per ora intristitevi anche voi con me!

 

Dopo quella sera, decisero che bastava. Tante volte si erano graffiati il cuore, avevano urlato che era l’ultima, si erano allontanati senza mai andarsene davvero.

Poi, in quel momento, presero la piena consapevolezza che era davvero il momento di dirsi addio.

E se lo dissero con calma, senza lacrime negli occhi, i cuori freddi come marmo.

Capirono che non era più un arrivederci.

Conobbero altra gente, cominciarono una nuova vita, si costruirono delle maschere diverse, si legarono ad altre persone.

Da quel giorno cercarono spesso lo sguardo dell’altro nella folla, da lontano si annusarono, un po’ si percepirono, arrivarono a sfiorarsi una volta, in una piazza affollata, ma non si riconobbero davvero.

Restò sempre il dubbio di aver incrociato una persona diversa, un’ombra di chi erano un tempo, le sembianze simili, i pensieri di un estraneo.

E seppero solo allora che non esistono persone giuste al momento sbagliato: al massimo, nel loro caso, c’erano state due persone sbagliate in tanti momenti terribilmente giusti.

Bittersweet

Bittersweet

Oggi posto una breve storia scritta da me, fatemi sapere cosa ne pensate!

Emanuele era vestito bene quel giorno, aveva una camicia celeste e un bel maglioncino blu. Da sotto i jeans spuntavano le scarpe scamosciate che piacevano a lei, quelle blu scuro.

Sembrava che fosse sempre il migliore della sua compagnia, eppure non aveva l’aria spocchiosa da primo della classe: semplicemente, si faceva amare. Aveva quel dono concesso a pochi, quello di trovarsi al centro dell’attenzione senza dare fastidio, di piacere a tutti e a tutte, di “rimorchiare” facilmente sapendo essere tenero e bastardo al tempo stesso.

Lei lo guardava, beata, avidamente, si nutriva dello sguardo di lui che la ignorava.

Al centro della sala, lui raccontava una delle sue solite barzellette, quelle che non facevano ridere se le raccontavano gli altri, ma se poi passavano dal suo filtro diventavano improvvisamente esilaranti.

Bè, magari le risate erano anche dovute ai litri di birra che stavano bevendo. Seduti su comodi divani i ragazzi si passavano di mano in mano enormi bottiglie di vodka, di rhum, di ogni alcolico possibile e immaginabile. Sembravano incuranti del valore dei mobili su cui erano svaccati e dei vestiti che indossavano: dal suo personale punto di vista, in quel momento tutti quei “figoni” sembravano un branco di scimmie in preda alle convulsioni, solo lui riusciva a distinguersi dalla massa. Con una fitta al cuore – ma poteva chiamarsi cuore? – vide che la ragazza ricciolina alla destra di Emanuele la pensava esattamente come lei. Proprio quella vestita da bambolina, col vestito di pizzo aderente e gli occhi enormi ed azzurri. Si avvicinava a lui, gli ballava attorno, rideva di ogni sua singola battuta e nel farlo risultava sempre maledettamente femminile ed affascinante.

Il ragazzo era perfettamente conscio del suo essere così attraente, e non faceva nulla per limitare le attenzioni che la ricciolina gli porgeva, anzi. Man mano che tracannava birra, si lanciava in balletti improvvisati nel centro della stanza, la trascinava a ballare con lui, con nonchalance le dava un buffetto sulla guancia o le scompigliava i capelli. Lo spettacolo durò finché lui non decise che aveva fatto abbastanza colpo: a quel punto afferrò una mano della ricciolina, con dolcezza iniziò a trascinarla lontano dal centro della stanza, mentre la ragazza si lasciava portare, continuando a ridacchiare con la sua risatina troppo… troppo perfetta perché lei potesse reggere quello spettacolo.

Carlotta non riuscì a trattenersi oltre: entrò dalla finestra incurante della festa che si svolgeva attorno a lei e percorse tutta la sala per trovarsi davanti a quei due. Emanuele stava accarezzando dolcemente il collo della ragazza, mentre con l’altro braccio le cingeva la vita e la avvicinava a sé.

“NOOO!” gridò Carlotta afferrandogli il polso di furia, ma la sua mano attraversò il braccio di lui senza sortire alcun effetto.

Nessuno sembrava averla sentita gridare, nessuno si curava di lei che si sentiva come intrappolata in una campana di vetro, perennemente costretta a rimanere in una realtà che non le apparteneva più, ma che era condannata a non lasciare per l’eternità.

Una lacrima più trasparente dei suoi occhi scivolò sulla sua guancia tonda, mentre i ragazzi si baciavano davanti a lei, che impotente strepitava e cercava di procurarsi un dolore fisico che non poteva più provare.

Aveva deciso di essere un fantasma solo per poter rimanere al fianco di lui, e adesso cosa le rimaneva? L’aveva dimenticata, e lei non poteva farci niente.

Rassegnata, uscì di nuovo a farsi inghiottire dalla notte, attraversata da una pioggia che non poteva più avvertire.