Una nonna per amica

Una nonna per amica

Potrebbe sembrare insensato scriverti proprio qui, dove di certo non andrai a leggere di tua spontanea volontà.
So già però che qualcuno (e so anche chi sarà quel qualcuno), ti leggerà dalla prima all’ultima riga questo mio stupido post, e sono contenta di questo tramite, perché quando ho da comunicare tanto amore il modo migliore che ho per farlo è scriverlo e affidare le mie parole a qualcuno che le leggerà meglio di me.
Nonostante sia superfluo, lo dico lo stesso: questa specie di “privilegio” che ti sto dando dedicando un intero pezzo a te non significa che agli altri due, ma diciamo pure agli altri tre, io voglia meno bene. Ma è inutile negare che il legame che c’è tra me e te è speciale, che non è comune, e che se tu non ci fossi io non so cosa farei.

Cinquantanove anni di differenza. I primi ventun’anni della mia vita che corrispondono a poco più di un quarto della tua. Chissà quante ore di discorsi su ogni argomento esistente al mondo e le risate, i regali, i caffè in ghiaccio quando studio, il tuo affannarti a starmi dietro per farmi sentire una principessa, anche se io di principessa ho ben poco, e ogni volta che te lo dico ti saltano i nervi.

Qua a Pavia la mia stanza ti conosce bene: ha visto le tue foto, conosce i tuoi regali, ascolta le nostre conversazioni e credo sappia quante volte mi hai sentita piangere, raccontarti che forse non valevo così tanto, dirti che invece sapevo di valere ma non capivo come mettere a frutto le mie qualità. E tu sempre lì, sempre paziente, ad aiutarmi con le parole e con i fatti, a viziarmi, a sgridarmi senza farmi sentire un’idiota, ma aiutandomi a ragionare.
Mi manchi così tanto che a volte quasi non resisto alla tentazione (troppo da egoista) di chiamarti e chiederti di prendere un aereo e venire da me quattro o cinque giorni, a ristabilire gli equilibri, a dirmi che la perfezione la pretendo solo io da me, che non si deve sempre piacere a tutti, che se fallirò ancora e poi ancora e poi ancora non per questo i miei genitori smetteranno di amarmi e avere fiducia in me.
Mi manchi quando non so come vestirmi, perché quando tu o la mamma mi dite che sono vestita bene io mi fido e so di stare bene, e quando esco per strada lo penso io e lo pensano anche gli altri. Mi manca la vostra sincerità, che anche quando è scomoda non è mai fine a se stessa ma sempre tesa ad aiutarmi, mi manca sentirvi discutere tra voi e trovarvi sempre concordi nel modo di amarmi e farmi capire ogni volta che sì, ce la posso fare, e che in fondo qualcosa di buono ce l’ho anch’io.

Sembra strano, vero? Questa specie di amicizia con tanti anni di differenza. Eppure non saprei come altro definirla se non un’amicizia, perché nel mio piccolo anch’io cerco di aiutarti, ti sostengo quando arriva un dispiacere, cerco, per quanto posso, di non darti troppe incombenze, sento che a volte mi cerchi per parlare con qualcuno che ti capisca, e quando lo fai per me è sempre un orgoglio e un enorme piacere.

Siamo completamente diverse e totalmente uguali.

E tu rappresenti questo mix favoloso di contraddizioni che mi rassicurano e che io adoro. L’amore per l’eleganza di altri tempi e il sapermi consigliare anche sulle scarpe da ginnastica.
Il modo di parlare elegante e forbito e il dialetto quando ti arrabbi oppure scherzi.
Il fatto di credere nei valori di altri tempi senza chiuderti alle novità.
Il fatto di non scandalizzarti quando ti racconto di come si comportano i miei coetanei con le ragazze ma il credere fermamente nella galanteria.
E anche un po’ il rapporto con mia madre, tua figlia, che sembra fondato sulle discussioni e invece a ben vedere trabocca d’amore.
Ecco, voi mi avete insegnato questo: che l’amore non significa solo andare d’accordo, ma anche litigare senza smettere di ritrovarsi, a volte soccombere per il bene di un rapporto, andare oltre le incomprensioni.

E tu… tu sei la mia seconda mamma, sei la mia migliore amica, sei la mia forza e la mia confidente, sei quella persona a cui posso rivolgermi per qualsiasi cosa, una delle poche, oltre ai miei genitori, che non mi giudica ma mi capisce, che mi fa credere in me stessa quando tutto sembra perso.
Grazie nonna, davvero. Sei la mia quercia secolare con lo spirito di una ragazzina. Il mio porto sicuro dove potrò sempre tornare. Sei tutto ciò che una nonna fantastica dovrebbe essere e anche di più. Ti voglio bene nei tuoi pregi e nei tuoi difetti, anche se questi ultimi tendo a vederli molto meno dei primi. Meno male che ci sei.

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A te che sei il mio paparino ed il mio rinopapa

A te che sei il mio paparino ed il mio rinopapa

Mio padre ha un viso di una dolcezza unica. Ha dei tratti delicati, perché nulla in lui è scortese, perfino il naso è piccolo, le labbra sottili, gli occhi espressivi. E, giusto per non dare troppo nell’occhio, i capelli hanno deciso di abbandonarlo già parecchi anni fa (per dire, guardando una foto del loro viaggio di nozze un mio vecchio… amico disse che papà somigliava a Gigi D’Alessio, poveraccio).

Papà non è alto ma non è nemmeno un nanetto. E’ solo piccolo, così è più facile volergli bene.
Ha i polsi e le caviglie sottili e non ingrassa mai, e questo fa infuriare le sue tre donne, che da anni lo osservano fare “la scarpetta” e sfoggiare delle gambe da stambecco. 
E’ sempre vestito bene, un po’ perché ha un’eleganza innata, un po’ perché la mamma fa shopping per lui. 

Io sono l’unica in grado di farlo arrabbiare, perché sono una testa dura e un’indisponente, altrimenti arrabbiarsi non rientra nelle sue capacità, sarà per questo che anche gli altri trovano difficile avercela con lui, e Niko lo adora. Mi ricordo ancora di quella volta in cui papà aveva parcheggiato male la macchina, e quando un signore chiese con estrema grazia “chi fosse il coglione che aveva parcheggiato così”, rischiò il linciaggio: Niko subito si alterò e gli gridò contro “non ti permettere, quella è machina di ingeNIEre, è una brava persona!”.

Come ogni bambina, anch’io da piccola volevo sposarlo. Questo sarebbe ancora normale se a volte non fossi tentata di sposarlo ancora oggi. Perché gli uomini come lui sono rari, e me lo dicono veramente tutti. Me lo dice la mamma, me lo dicono le nonne, me lo dicono le amiche, me lo dice chiunque lo conosca.
A volte dicono “è un uomo d’altri tempi”, ma io non sono d’accordo. Perché gli uomini d’altri tempi saranno anche stati dei cavalieri, ma non lavavano i piatti quando la moglie era stanca, non lavoravano in giro per casa, non portavano ogni mattina il caffè a letto a moglie e figlie, e certamente si ritenevano i capo-famiglia. Ma papà non è il capo-famiglia, perché a casa mia un capo-famiglia non c’è, siamo tutti pirla allo stesso modo.

Papà mi ha insegnato a guidare la bicicletta e la macchina (anche se ancora la patente non l’ho presa), e si è stupito quando non ho fatto spegnere l’auto il primo giorno in cui ha iniziato a darmi lezioni. E poi ha afferrato in un nanosecondo il volante quando alla mia prima retromarcia ho rischiato di uscire dalla strada e finire tra le cicorie. E quando ci ha tratti in salvo, rideva. Io invece, ça va sans dire, avevo già pianto tutte le mie lacrime. 
Perché papà è così: lui non si scompone, ride. Ride quando succede un imprevisto, ride quando io e lui prendiamo in giro mia sorella, ride quando lavora con i suoi colleghi e ride quando la mamma si stizzisce se lui le dà risposte sceme. 

Ogni tanto litighiamo ma fare pace è semplice: basta una battuta delle nostre, un gioco di parole, un’allusione e tutto torna com’era. Poi a volte parliamo seriamente con una tranquillità che mi appartiene solo quando sono con lui, mi racconta che la pigrizia l’ho ereditata da lui, come anche la disorganizzazione e il disordine, e poi mi consola perché se lui ce l’ha fatta a vincere i suoi difetti lo posso fare anch’io.

Non è un padre di quelli che vantano sempre la bellezza delle proprie figlie, ma le rare volte in cui lo fa ha la commozione negli occhi, glielo si può leggere chiaramente che ciò che dice lo pensa davvero. Solo che non sempre riesce a esprimerlo a parole, e allora vedi che il suo cuore, pur così grande, è diventato improvvisamente troppo stretto per contenere tutto ciò che prova: ha bisogno di esternare qualcosa, ma le sue parole non sono mai troppe, compensa il sorriso.

Perfino con i figli degli altri è un bravo papà: se non mi credete guardate le foto che gli hanno scattato in barca mentre gioca con i figlioletti dei suoi soci (età media: 5 anni), che gli si arrampicano addosso come tante scimmiette e ridono di ogni sua smorfia. E mi ricordo ancora di quando gli si fermò la macchina a metà del tragitto tra Roma e Lecce, in viaggio con lui c’erano due ragazzi che forse non avevano ancora vent’anni. 
Lui avvertì la mamma, aspetto con serenità il carro attrezzi e poi tornò più stanco che mai mentre noi eravamo lì in agitazione. Lo accogliemmo con un cartello “Bentornato angelo!”, e lui rispose semplicemente “Io mi chiamo Guglielmo, mica Angelo!”. 

E invece lui è il Mio angelo. 

Questo non è un post per la festa del papà, quanto piuttosto la “conseguenza” della festa del papà. Per ricordarlo, anche se a distanza, guardavo una nostra foto nel giardino di casa, e ancora una volta mi ha colpito il suo viso.
Te lo dico meno di quanto vorrei, ma tanto tu sai che è la pura verità: ti voglio un bene infinito Testa di Boccia.

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