Questione di priorità

Questione di priorità

A sedici o diciassette anni, alle prese con la prima storia d’amore che potessi considerare più o meno importante, avevo chiesto consiglio a mia cugina più grande che in quei giorni era giù in Puglia per le vacanze di Natale.
Lei, cinque anni più di me, oltre ad essere la mia sorella maggiore d’elezione era già all’Università e quindi già da qualche anno viveva a Milano.

Il consiglio che mi diede mi sembrò strano allora, quasi inutile, di certo inaspettato: perché la mia relazione potesse funzionare, sosteneva lei, non dovevo considerarla quanto di più importante io avessi.
C’era prima una lista di priorità da rispettare, e prima del mio ragazzo, in ordine di importanza, dovevano esserci la mia famiglia e i miei amici. Anche lo studio, volendo, e il mio svago e la mia crescita personale. Facendo così, mi assicurava lei, avrei avuto una relazione più felice.

Io però a diciassette anni ero di certo più sciocca di quanto non sia adesso, e a mia discolpa non avevo mai provato l’esperienza di vivere lontano dalla mia famiglia per più di un paio di settimane.
Consideravo normale avere due genitori sempre presenti, per me era una piacevole abitudine mangiare il sabato dalla nonna tutti insieme, era scontato che i miei zii abitassero al piano di sopra e che, all’occorrenza, io e mia sorella potessimo sempre passare del tempo a casa dei nonni.

Non che non apprezzassi già la mia famiglia, ma mi sembrava scontato che io li avrei sempre amati e che loro avrebbero sempre amato me, e questo mi sembrava più che abbastanza.

Adesso invece sono al quinto anno da fuorisede, mi sento sempre meno matura e più bambina, e ogni scusa è buona per raggiungere qualsiasi componente della mia famiglia in qualsiasi parte d’Italia e del mondo.
Ormai da un paio d’anni su Whatsapp abbiamo il gruppo “Le Cugggi”, per restare sempre in contatto nonostante io abiti a Pavia, una cugina a Milano e mia sorella e l’altra cugina, pugliese nell’animo ma polentona per nascita, a Udine.
Abbiamo 28, 23, 20 e 15 anni, ma sul gruppo l’età mentale media si aggira intorno ai sette anni.

Una di noi ha ancora paura dei debiti in latino, un’altra con l’esame di latino ha un rapporto di amore/odio. Una abita con un fratello maniaco dell’ordine e della pulizia, l’altra, quando le sue coinquiline sono lontane per troppo tempo, forse preferirebbe la compagnia di un fratello con la mania dell’ordine alle giornate di studio in solitudine. Quando si avvicinano le vacanze non vediamo l’ora di ritrovarci tutte giù, e iniziano le solite domande “voi quando scendete?”, “quest’anno quanto ti fermi tu?”, “non dirmi che parti di nuovo!”, “sei già arrivata? Salutami la nonna!”.

L’anno scorso per mia sorella era ancora l’ultimo di liceo, ma nell’ultimo Natale, per la prima volta, tutti e cinque noi cugini tornavamo dal profondo Norde a riabbracciare genitori, zii e nonni vari.
È stato, se possibile, ancora più bello degli altri anni. Noi cugine ci siamo prese un pomeriggio per andare a prendere il caffè al mare, l’unico maschio ammesso era uno dei nostri cani. Abbiamo fatto una marea di foto una più stupida (e più bella) dell’altra, e le abbiamo conservate tutte. Abbiamo riso, abbiamo parlato di stupidaggini, ci siamo divertite a trovare nelle foto già fatte tutte le pose più imbarazzanti delle altre tre. Come se tutte avessimo la stessa età.

cugi

Ci siamo ritrovati per un pranzo tutti insieme dagli zii “del piano di sopra”, e per la prima volta dopo una marea di anni eravamo proprio tutti i cugini della mia famiglia paterna, di primo e secondo grado. Di cugini ne ho talmente tanti che a volte ne scordo qualcuno, e davvero non ricordavo che fossero tutti così belli. Le mie amiche giù (ma anche a Pavia), mi prendono in giro perché due volte su tre quando mi chiedono se conosca qualche leccese va a finire che in un modo o nell’altro è mio parente.

E poi ormai vedere la mia famiglia è diventato un privilegio così raro e così bello che quando sono a Lecce loro sono sempre al primo posto, quand’anche si trattasse di una cena improvvisata nel giardino di casa nostra e avessi tutto il diritto di saltarla e andare in qualche locale con gli amici.
Di amici stretti giù ormai ne ho pochi e selezionati, tutti gli altri fa piacere vederli. Nella lista di priorità di cui mi aveva parlato mia cugina, però, ho imparato senza troppi sforzi a mettere al primo posto la mia famiglia.

Pavia è bellissima, certo, ma ha quello svantaggio di mettere mille chilometri tra me e mia nonna, che per rimediare siamo costrette a scaricare intere batterie del cellulare a suon di telefonate che durano ore. E poi non è assolutamente vicina alla gastronomia della mamma, dove ci sono anche la zia e mia cugina, e se sono tanto fortunata da passare al momento giusto trovo anche il ragazzo di mia cugina, che con grande scorno di lei ho ormai ribattezzato “il mio cugino preferito”.
A Pavia non ci sono nemmeno la mia prozia e l’altra nonna, che mentre ti strizzano un bacio sulle guance ti passano la mazzetta sottobanco per “comprare il gelato”. “Tanto, Elisa mia, quando sei lontana da casa i soldi non servono sempre?”. Uno sguardo fugace ai miei jeans strappati, che ai tempi loro non sarebbero stati dignitosi e adesso Dio solo sa come possano andare di moda. Ma per loro sono bella sempre, quando ingrasso sono florida e quando dimagrisco sono bella comunque perché ho “quel sorriso luminoso”.

Lecce d’estate, il tepore nel giardino di sera, la tavola tonda, di legno, imbandita sotto al grande ombrellone bianco, gli zii che scendono dal piano di sopra e portano magari delle verdure, o il pane che fa la zia, gli udinesi che arrivano da casa della nonna e Ludovica che chiede alla zia (mia mamma) le pittule e la torta di crepes.

Il compleanno del cuginetto milanese, il più piccolo nella famiglia dalla parte di mamma, che fortunatamente compie gli anni proprio ad agosto e può festeggiare coi nonni e gli zii che non vedono l’ora di viziarlo. E con cinque cugine, tutte più grandi di lui, alcune talmente tanto che se fa una passeggiata in centro con una di loro lo credono tutti il nipotino, o addirittura il figlio, della cugina in questione.

E ancora le giornate di tradizione a Torre dell’Orso, tutti sotto l’ombrellone degli zii con il ricambio per la sera stipato nelle borse del mare, la sera la cena sul balcone e per dolce il gelato di Dentoni.
I miei genitori che scherzano tra loro, mia madre che verso l’ora del tramonto balla sulla musica che dal bar si diffonde a tutto il lido e mio padre, sorridente, la guarda dalla sdraio con gli occhi di uno che è in pace col mondo. I miei nonni, con le loro folte chiome bianco-argento, che hanno passato gli ultimi cinquant’anni della loro vita a litigare, ma quando escono dalla macchina il nonno scende ancora per primo, per aprire lo sportello alla nonna.
Io e mia sorella che dormiamo nei nostri letti gemelli, a pochi centimetri di distanza, e ridiamo guardando (o ascoltando) i video della Littizzetto per addormentarci col sorriso.
I miei cugini più grandi che da bambina mi hanno tormentata senza pietà, ma facendo sempre a gara a chi fosse il mio preferito, e ora sono i fratelli maggiori che altrimenti non avrei. I miei psicologi, i miei critici più duri (e rompicoglioni) a cui tirerei un pugno in piena faccia tante volte quante li stritolerei in un abbraccio.

Ci sono voluti anni per capirlo, ma poi è stato tutto così naturale.
Ho avuto la fortuna di nascere in un oceano di amore, e prima di partire per altri lidi avrò sempre bisogno di tornare per un paio di bracciate.

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